martedì 29 giugno 2010

Dell’Utri condannato per mafia. Se questo è un uomo

Niente Spatuzza e Ciancimino. Nessuna strategia del terrore e accordi tra mafia, Dell’Utri, Berlusconi e Forza Italia. Niente di tutto ciò. In sentenza si statuisce che di quel che si dice di Dell’Utri, della stagione stragista del 1993 e degli affari degli anni dopo, nulla è vero. Rimane il dirigente aziendale che prima del 1992 per evitare guai a Standa e Fininvest accomodava con la mafia in Sicilia.

Non la prova di aver voluto partecipare al sodalizio criminoso che si avvale degli strumenti mafiosi per commetter reati, come prevede l’articolo 416 bis del codice penale debba provarsi per assumere la patente di mafioso. Ma l’accusa a colui che pur non facendo parte dell’associazione in qualche modo la favorisce. Reato non codificato ma stratificato nelle aule di giustizia per condannare quello di cui non si ha prova esser mafioso, ma che si punisce per non esser stato virtuoso nel conservare ogni verginità nei rapporti con gli ambienti mafiosi. Ciò a dispetto del fatto che le istituzioni non sono in grado di proteggere questa verginità in Sicilia come in altre regioni.

E in questi territori se questo è un uomo non per questo deve essere necessariamente un mafioso. Perché non deve chiedersi d’essere eroi per poter esser solo uomini.

Luca Procaccini

martedì 22 giugno 2010

Di Pietro indagato a Roma ci ha sbancato o sbiancato?


Anni addietro, un signore di nome Pacini Battaglia, di professione faccendiere, venne intercettato nell’àmbito di una conversazione, e non si è mai capito se ha detto: “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato” oppure “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbiancato”. Pacini Battaglia finì nel tritacarne di Mani pulite, famosa indagine penale capitanata da Di Pietro. Il quale allora era Pubblico ministero della Procura della Repubblica di Milano, città dove esercitava, ed esercita, la professione d’avvocato Lucibello, in rapporti con Di Pietro stesso.

All’intercettato Pacini Battaglia venne chiesto (nel corso di un procedimento penale dov’era indagato Di Pietro) il perché dell’affermazione secondo la quale Di Pietro e Lucibello l’avrebbero “sbancato”. E il chiarimento fu questo: c’era equivoco, perché non “sbancato” s’era detto, ma “sbiancato”.

Alla fine delle indagini, con sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Di Pietro (emessa dal Giudice dell’udienza preliminare di Brescia, che per motivi di forma non poté acquisire la registrazione), si chiuse la questione senza che si giungesse alla celebrazione del processo per l’accertamento dei fatti. E così tutti si son chiesti se Pacini Battaglia è stato “sbancato” o “sbiancato”.

Allo scopo d’aiutare il prossimo a capire cosa s’era detto, il quotidiano Il Foglio distribuì in allegato al giornale un Cd con la registrazione della conversazione. E fra chi l’ha ascoltata, a parecchi è parso proprio di sentir parlare di sbancare e non di sbiancare. Ma Il Foglio è di tiratura modesta e milioni d’italiani son rimasti col dubbio.

Comunque, si sa, il tempo cancella tutto e noi, del dilemma, ci siamo dimenticati. Tuttavia, la storia si ripete. La questione verte sui rimborsi elettorali che, è noto, sono fondi pubblici destinati ai partiti. Secondo l’indagine della Procura di Roma, Antonio Di Pietro, oltre al partito "Movimento Italia dei valori", ha costituito l'"Associazione Italia dei valori", composta da lui stesso, dalla moglie Susanna Mazzoleni e dall'onorevole Silvana Mura. Quindi, a richiedere, incassare e gestire i rimborsi del “Movimento politico” (e sostituendosi a esso) sarebbe stato in via di fatto l'"Associazione" di famiglia, attraverso la deputata-rappresentante legale Silvana Mura. Il “tesoriere” dell'associazione di famiglia, sempre per statuto, richiede i rimborsi elettorali e “li introita (…) per conto dell'Associazione” e cura la tenuta dei registri contabili “dell'Associazione e del Partito”. Un rompicapo, fino a quando costretto dalle inchieste giornalistiche Di Pietro non ha portato dal notaio Movimento e Associazione e li ha formalmente unificati. Ma questo vale per il futuro, e se è stato atto notarile questo è il riconoscimento delle ragioni di chi denunciava le anomalie. E se queste sono veramente state nel passato non sono certo sanate dall’atto notarile.

Se siamo stati sbancati da Di Pietro lo sapremo poi, ma  venuti a conoscenza di com’è funzionato il meccanismo, siamo già “sbiancati”.

Luca Procaccini

domenica 20 giugno 2010

Pontida, la festa dell’indiano leghista

Vent’anni di raduni a Pontida con la secessione per parola d’ordine. Però, se all’inizio era la festa di un movimento tribale senza nessuna particolare pretesa, oggi di tribale c’è rimasto solo il trattamento riservato all’indiano. Come al tempo della scoperta dell’America, quando i nativi ricchi d’oro lo cedevano agli ispanici in cambio di vetrini colorati dall’infimo valore, la tribù leghista oggi cede un validissimo consenso elettorale per l’illusione di qualcosa di sostanzioso.

Li lasciano giocare con l’inno di Mameli, la nazionale di calcio da turlupinare e, per far vedere qualcosa di luccicante come i vetrini colorati, col federalismo meteorologico (chiesto da Zaia lo scorso giovedì), ed il ministero per l’attuazione del federalismo varato proprio ieri e oggi affossato a Pontida dallo stesso Bossi che dice d’esser lui l’unico ministro della materia.

A quanto pare al grande capo piace così, fa nulla se quasi a metà mandato il federalismo rischia d’essere affossato dalla stretta finanziaria appena varata. Non è tutto oro quel che luccica, a volte è solo vetro.

Luca Procaccini

giovedì 17 giugno 2010

Intercettazioni. Ecco la proposta del centrosinistra

Il disegno di legge prevede che si potranno pubblicare almeno “per riassunto” gli atti di un processo non più segreti. Divieto, invece, per i testi delle intercettazioni. Di cui non si potrà più né scrivere né parlare, né per riassunto, né nel contenuto, fino al termine delle indagini preliminari. Resteranno top secret fino al dibattimento. Vietata la pubblicazione di tutto quello che riguarda “fatti e persone” estranee alle indagini. Vietata la pubblicazione degli atti e delle intercettazioni destinate ad essere distrutte. Chi pubblicherà un brogliaccio, a prescindere da cosa contenga, sarà punito con un mese di carcere e la multa fino a 10mila euro. Gli editori rischieranno fino a 450mila euro. Carcere fino a tre anni per chi pubblica intercettazioni destinate a essere distrutte. Oltre all’indagine penale, si potrà incorrere nella sospensione cautelare fino a tre mesi. Se si tratta di impiegati dello Stato si tratterà di una sospensione dal servizio, se si tratta di giornalisti la sospensione sarà dalla professione. Terminato il periodo di durata massima delle intercettazioni telefoniche (75 giorni), il pm potrà chiedere una proroga di tre giorni in tre giorni se dovesse avvertire il rischio che si stia per compiere un nuovo reato o se si tratti di una prova fondamentale. Se un pm rilascia dichiarazioni sul processo o viene indagato per violazione del segreto, potrà essere sostituito, anche se non automaticamente. Vietate la pubblicazione dei nomi e delle foto dei magistrati per quanto riguarda i provvedimenti che gli sono affidati. Per chiedere un’intercettazione telefonica o visiva e i tabulati serviranno “sufficienti indizi di reato” per i delitti di mafia e di terrorismo o “gravi indizi di reato” per tutti gli altri crimini. Le utenze devono appartenere ai soggetti indagati o dimostrare per gli altri che “sono a conoscenza dei fatti per cui si procede”. Ad autorizzare il pm, per ogni richiesta o proroga, che dovrà far sottoscrivere dal procuratore capo, sarà il tribunale collegiale del capoluogo di distretto cui dovrà inviare ogni volta tutte le carte. È prevista una pena da sei mesi fino a quattro anni di carcere per chi “fraudolentemente effettua riprese o registrazioni di conversazioni a cui partecipa o comunque effettuate in sua presenza”. C’è una clausola di salvaguardia per gli 007. Esclusi i giornalisti (pubblicisti compresi). La legge non si applicherà ai processi in corso nei quali siano già state richieste e autorizzate delle intercettazioni e se un sacerdote viene sottoposto ad indagini o arrestato, il pm dovrà avvertire il vescovo della diocesi da cui il prete dipende. Nel caso di un vescovo o un abate verrà avvisata la segreteria di Stato vaticana.
Obbrobrio giuridico che non supererà mai il vaglio della corte costituzionale. Ne sono certi gli esperti della sinistra.

Infatti, l’idea di Finocchiaro, Veltroni, D’Alema, Di Pietro e gli altri quando erano i maggioranza con Prodi al Governo era tutt’altra cosa: vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari. Stesso divieto per quel che riguarda conversazioni telefoniche o flussi di informazioni informatiche o telematiche e i dati riguardanti il traffico telefonico, anche se non più coperti da segreto. Anche in questo caso fino alla conclusione delle indagini preliminari o fino al termine dell'udienza preliminare. Se si procede al dibattimento, non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo del Pm, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello. I documenti che contengono dati relativi a conversazioni e comunicazioni telefoniche o telematiche acquisiti in modo illecito e quei documenti elaborati attraverso una raccolta illecita di informazioni non possono essere in nessun modo utilizzati, tranne che come corpo del reato. Chiunque rivela notizie sugli atti del procedimento coperti da segreto e ne agevola la conoscenza è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Se il fatto è commesso per colpa o per «agevolazione colposa», la pena è della reclusione fino a un anno. Se a commettere il fatto è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, la pena è aumentata, rispettivamente da 1 a 5 anni e da 6 mesi a 2 anni. Reclusione da 1 a 3 anni, invece, per chi in modo illecito viene a conoscenza di atti del procedimento penale coperti da segreto. E per chi, consapevole dell'illecita formazione, acquisizione o raccolta, detiene documenti che contengono atti relativi a conversazioni telefoniche, la pena è la reclusione da 6 mesi a 4 anni. Chiunque rivela, attraverso qualsiasi mezzo di informazione al pubblico, in tutto o in parte il contenuto di documenti elaborati per mezzo di una raccolta illecita di informazioni è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni. Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, la reclusione è aumentata da 1 a 5 anni. Per i giornalisti che pubblicano atti del procedimento o intercettazioni telefoniche coperte da segreto scatta l'ammenda da 10mila a 100mila euro, in alternativa alla reclusione fino a 30 giorni, come previsto dall'articolo 684 del Codice penale. In caso di illeciti per finalità giornalistiche, inoltre, è applicata la sanzione amministrativa della pubblicazione, in uno o più giornali, dell'ordinanza che accerta l'illecito a spese dei responsabili della violazione.  Il decreto del Pm che dispone l'intercettazione indica la modalità e la durata delle operazioni per un massimo di 15 giorni, prorogabile per altri 15 giorni dal giudice con decreto motivato e per una durata complessiva massima non superiore a tre mesi. Il limite può essere superato solo nel caso in cui dovessero emergere nuovi elementi investigativi.

447 voti favorevoli alla Camera e solo 9 astenuti, poi cadde Prodi ed il disegno di legge rimase tale.

La differenza però è chiara. Ora si vuol solo rendere da Paese civile il processo penale perché si vuole evitare la gogna mediatica e l’uso improprio delle intercettazioni. Mentre allora si volva salvare Berlusconi ad ogni costo.

Sicuro. Perché invertendo i fattori il risultato non cambia.

Luca Procaccini

sabato 5 giugno 2010

Sciopero dei magistrati: la legge è uguale per tutti, quelli che non ci hanno a che fare

In ogni aula di giustizia campeggia la scritta “La legge è uguale per tutti” ma chi ci ha a che fare, nel bene e nel male, s’accorge che non è così.

“La legge è uguale per tutti” nei momenti di crisi in cui s’ha da tirar la cinghia, ma i magistrati, ai cui stipendi sono ancorati anche quelli dei parlamentari, non ne voglion sapere di essere decurtati negli emolumenti, e scioperano.

“La legge è uguale per tutti” quelli che non ci hanno a che fare, perché quelli chi che c’inciampano e quelli che ne dispongono sanno di non essere uguali a tutti.

Luca Procaccini

giovedì 3 giugno 2010

Di Pietro tra i favoriti di Anemone e Balducci. Nessun caso, è solo una casa

Dopo l’equo canone in Piazza della Scala a Milano, ora l’appartamento in affitto a prezzo irrisorio a Roma.

Non è un caso politico, è solo una delle case di Di Pietro.

Se confermato, una certezza. Quella di Di Pietro è Italia dei Valori, immobiliari.

Luca Procaccini