giovedì 24 febbraio 2011

Scoperto il documento riservato dei Deputati e Senatori che hanno abbandonato Futuro e Libertà

Avevano aderito a Futuro e Libertà perché volevano un partito che fosse democratico dove le decisioni fossero condivise e non appannaggio esclusivo del Capo. Un partito con le sezioni dove anche la base potesse essere sentita. Un partito che si confrontasse costantemente e dove i rapporti con gli alleati fossero gestiti nelle sedi competenti e dagli organi a ciò preposti, e non nelle residenze private del leader.

Insomma, un partito che non sia com’è stato Alleanza Nazionale, dove si sono celebrati solo tre congressi in 15 anni di cui uno per la nascita ed uno per lo scioglimento con l’altro nel 2002 tanto per far numero. Un partito che non sia com’è stato Alleanza Nazionale, dove ogni contrario al capo o ha lasciato ed ha tentato altrove la fortuna, com’è stato per Mussolini e Storace, o è stato mortificato, com’è toccato a La Russa, Gasparri e Matteoli quando sono stati pizzicati al bar a sparlare del boss. Un partito che non sia com’è stato Alleanza Nazionale, dove i dirigenti, i quadri e la base dovevano apprendere delle trasformazioni del pensiero del leader dalla televisione perché fino ad allora erano da lui custodite nelle residenze private.

Ma a differenza dei tempi di Alleanza Nazionale dove non c’era spazio all’infuori di questa per chi volesse fare politica dichiaratamente a destra, oggi quella parte d’emisfero in Parlamento è occupata dal Popolo della Libertà.

E allora, neanche 10 giorni dal congresso di Futuro e Libertà e la risposta alla condotta dell’autosospeso Presidente è un documento di fine politica, mica uno stizzito “che fai mi cacci”.

Luca Procaccini

giovedì 17 febbraio 2011

Con il rito immediato, un processo all’antica per una condanna a Berlusconi

Anticamente per i popoli barbari se uno era innocente la divina provvidenza l’avrebbe tutelato. Quindi l’accusato non aveva di che temere. Per esempio, messolo in una botte, lo si faceva rotolare in un dirupo. Se colpevole, moriva. Se innocente il Signore l’avrebbe salvato e reso vivo alla comunità, anche se ammaccato. Poco importa.

Poi, nei secoli, le esecuzioni erano in piazza, e il motivo era quello di dimostrare la forza del regnante. Nell’era moderna, invece che le esecuzioni, in pubblica udienza si celebravano i processi per dimostrare che il processo era giusto, e le indagine garantivano segretezza per tutelare l’indagato che poteva essere prosciolto da ogni accusa senza neanche andare a processo.

È una ruota che gira, da qualche lustro a questa parte è tornato di moda il processo in stile arcaico. Banalmente con un avviso di garanzia notificato al Premier a mezzo “Corriere della sera”,  nel 1994 durante una conferenza internazionale che presiedeva, e in maniera più sofisticata con un’accusa morbosa da sviluppare in processo immediato che garantisce sputtanamento mediatico, il risultato è garantito.

Anche se assolto, l’accusato ne uscirà quanto meno ammaccato se non proprio ammazzato. Almeno sperano quelli che dalla contingenza contano di ricavare l’uscita di scena dell’illustre imputato.

Ma dal 1994 a oggi qualcosa è cambiato, e l’elettore allora impressionato dall’idea che l’uomo possa essere indagato oggi non ne resta scandalizzato. Ormai è disincantato e preparato, e non s’accontenta più neanche di una semplice condanna. Pretende la giusta condanna.

Luca Procaccini

domenica 13 febbraio 2011

Congresso di Futuro e Libertà: tutte le proposte

Non è più una notizia, gli intellettuali di Futuro e Libertà sono in rotta con Fini e seppur invitati neanche hanno partecipato al primo congresso del Partito. Sia Alessandro Campi che Sofia Ventura, professori universitari, sono critici col Leader del neonato Partito perché non lasciava Montecitorio per dedicarsi al movimento, e perché la china da questo presa era da prima repubblica.

Sferzante la reazione dei colonnelli di Fini, che hanno attaccato gli studiosi ricordando che contano i voti portati da loro e non le riflessioni portate dai politologi.

E la prova è data. Si chiude il Congresso e tutti nervosi. FLI starà nel centrodestra ma non esclude l’opportunità di accordi con la sinistra. La scelta del Segretario del Partito non è condivisa, e per sminare il campo si rinvia la decisione confidando nel passar del tempo. Il Presidente è Fini, ma appena acclamato si autosospende per conservare la carica di Presidente della Camera. Carica che è pronto a rimettere, ma rilancia: non basta più che si dimostri che il cognato è proprietario della casa di Montecarlo, ora occorre anche che si dimetta Berlusconi dalla carica di Presidente del Consiglio.

L’impressione è che senza gli intellettuali siano rimaste sul campo poche idee e pure confuse, e la paura dei Colonnelli è che sul campo possano rimanerci pure i voti.

Luca Procaccini

martedì 8 febbraio 2011

L’Italia riparte. Il piano di rilancio economico e le sue criticità

Negli ultimi 20 anni il turismo italiano ha sofferto la concorrenza  nordafricana con i prezzi low cost che hanno conquistato inesorabilmente gli europei. Così, il rapporto qualità prezzo tra la riviera romagnola con la mucillaggine e quella africana con la barriera corallina ha devastato l’industria del turismo in Italia.

Poi, quando ormai la rassegnazione all’accadimento aveva colto tutti, il colpaccio machiavelliano.
In Egitto pare di vedere un film già visto in Iran. Nel 1977 c’era Jimmy Carter a dire che l’Iran era un saldo bastione dell’Occidente, e qualche giorno prima dell’inizio dei disordini in Egitto c’era Hillary Clinton a dire che l’Egitto era un Paese stabile.  Allora gli Stati Uniti invitavano lo Scià ad avviare un programma di democratizzazione, ora Barack Obama chiede a Mubarak di levarsi di torno per fare spazio a una transizione ordinata verso la democrazia. Più di trent’anni addietro in Iran il primo governo di transizione fu affidato a un laico a nome Shapur Bakhtiar, e trent’anni dopo spunta in Egitto il laico ElBaradei. In Iran dopo il primo governo laico arrivò Khomeini, e in Egitto alla finestra dell’auspicata transizione democratica ci sono i Fratelli Musulmani.

Con queste premesse, può anche starci che al pericolo di deriva islamista di un Paese che affaccia sul Mediterraneo e ha il controllo del canale di Suez, e più in generale dell’intera regione, l’Italia se la gode.

Il fine giustifica i mezzi, e tutti a dire che meglio di così non poteva essere. Perché sarà pure la democrazia che avanza, ma se va a finire come in Iran è anche la fine del turismo di massa in Nord Africa.

E l’Italia riparte.

Luca Procaccini