giovedì 17 febbraio 2011

Con il rito immediato, un processo all’antica per una condanna a Berlusconi

Anticamente per i popoli barbari se uno era innocente la divina provvidenza l’avrebbe tutelato. Quindi l’accusato non aveva di che temere. Per esempio, messolo in una botte, lo si faceva rotolare in un dirupo. Se colpevole, moriva. Se innocente il Signore l’avrebbe salvato e reso vivo alla comunità, anche se ammaccato. Poco importa.

Poi, nei secoli, le esecuzioni erano in piazza, e il motivo era quello di dimostrare la forza del regnante. Nell’era moderna, invece che le esecuzioni, in pubblica udienza si celebravano i processi per dimostrare che il processo era giusto, e le indagine garantivano segretezza per tutelare l’indagato che poteva essere prosciolto da ogni accusa senza neanche andare a processo.

È una ruota che gira, da qualche lustro a questa parte è tornato di moda il processo in stile arcaico. Banalmente con un avviso di garanzia notificato al Premier a mezzo “Corriere della sera”,  nel 1994 durante una conferenza internazionale che presiedeva, e in maniera più sofisticata con un’accusa morbosa da sviluppare in processo immediato che garantisce sputtanamento mediatico, il risultato è garantito.

Anche se assolto, l’accusato ne uscirà quanto meno ammaccato se non proprio ammazzato. Almeno sperano quelli che dalla contingenza contano di ricavare l’uscita di scena dell’illustre imputato.

Ma dal 1994 a oggi qualcosa è cambiato, e l’elettore allora impressionato dall’idea che l’uomo possa essere indagato oggi non ne resta scandalizzato. Ormai è disincantato e preparato, e non s’accontenta più neanche di una semplice condanna. Pretende la giusta condanna.

Luca Procaccini

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