sabato 31 gennaio 2009

Bossi Jr., per servirvi


Tre volte bocciato alla maturità, una delle quali con tesina su Cattaneo, padre del pensiero federalista. Il piccolo Bossi proprio non ce la fa, evidentemente, a distinguersi quale intellettuale di partito. Eppure, la Lega lo piazza nel consiglio di direzione dell’”Osservatorio sulla trasparenza e l’efficienza del sistema fieristico lombardo”. Strumento della Lega al servizio delle piccole e medie imprese, con il compito di raccogliere le valutazioni degli espositori e le eventuali segnalazioni di anomalie riscontrate nel sistema fieristico regionale. Roba da cristiani con competenze tecniche specifiche.

Qualcosa non torna. Se il Bossino studioso s’è titolato solo della licenza media inferiore, delle due l’una: è lì nominato o perché è figlio di papà o perché ce l’ha duro.

In ogni caso, un’operazione di molto distante dal vento del Nord che ci proponeva la Lega.

[foto via Lega Nord]

Luca Procaccini

Caso T-Red: ennesima invasione della magistratura nella politica

Gli 8.021 Comuni d’Italia sono amministrati da tutte le forze politiche: dalla sinistra alla destra passando per la Lega. I sindaci tutti sono in subbuglio. Quell’inchiesta della procura contro i T-Red è uno scandalo. L’ennesima invasione della magistratura nelle cose della politica.

Il Codice della strada, da strumento di prevenzione per la sicurezza, era diventato, per tacito accordo, strumento di finanziamento dell’Ente locale. E così, pazienza del fatto che i trasferimenti dallo Stato ai Comuni erano in progressiva diminuzione, e che con l’abolizione dell’Ici e l’impossibilità di applicare l’addizionale Irpef ai Comuni era stata inibita la capacità impositiva di tributi. A bilanciare tutto ciò c’era il Codice della strada. E giù di purga per l’automobilista contribuente.

Gettito costante e garantito, la contravvenzione al Codice della strada era divenuto pilastro dell’economia dell’Ente locale. Fino a quando non è intervenuto il magistrato.

Ma questa volta nessuna parte politica è disposto a prenderne difesa. Dal partito di Bertinotti a quello di Berlusconi il coro è unanime: basta invasioni di campo. Che i magistrati facciano i magistrati e lascino agli amministratori gli strumenti per governare. Quando è troppo è troppo.

[foto via flickr.com/photos/daquellamanera]

Luca Procaccini

giovedì 29 gennaio 2009

Battisti, Brasile-Italia 2-0


Il Brasile nega l’estradizione in Italia del terrorista condannato all’ergastolo.

Il presidente della Repubblica Napolitano scrive un’accorata lettera all’omologo brasiliano.
Nessuna risposta.

Il ministro degli Esteri Frattini ritira l’ambasciatore italiano dal Brasile.
Lula (presidente brasiliano): "Per il nostro Governo, la questione è chiusa".

Il ministro per le Politiche comunitarie Ronchi scrive una lettera all’Ue.
Risposta del commissario alla giustizia della Commissione europea: “Non abbiamo alcuna base legale per intervenire”.

Il ministro della Difesa La Russa propone di "abolire l’amichevole" fra le nazionali di calcio di Italia e Brasile in programma a marzo, per protesta: "Non mi pare il caso di fare nulla di amichevole".
Finalmente facciamo vedere i muscoli.
Risposta: vittoria a tavolino. Due a zero per il Brasile.

[foto via flickr.com/photos/solapenna]

Luca Procaccini

mercoledì 28 gennaio 2009

Di Pietro rompe il silenzio?


Di Pietro ha detto: “Il silenzio uccide, il silenzio è un comportamento mafioso per questo io voglio dire quello che penso”.

E allora io dico:

- a me nessuno offre in prestito senza interessi e senza garanzie cento milioni di lire;

- a me nessuno offre in comodato d’uso gratuito, a tempo indeterminato, una Mercedes;

- a me nessuno offre in locazione, a prezzo da equo canone, un immobile in Piazza della Scala a Milano;

- a me nessuno ha mai detto che l’ho sbancato/sbiancato.

Di Pietro ha detto, grosso modo, che per i fatti citati nulla di penalmente rilevante è emerso.

E allora io dico, semplicemente, che a prescindere dai procedimenti che ci sono stati, dall’uomo pubblico una spiegazione era dovuta.

E invece, silenzio. Degli innocenti?

Luca Procaccini

martedì 27 gennaio 2009

Fiat: fabbrica italiana aiutata troppo

Fiat chiede aiuto al Governo. Non si sa esattamente cosa. Probabilmente gli incentivi: bonus ai privati per comprare auto nuove, in cambio della rottamazione delle vecchie macchine. E se gli incentivi non arrivano? Semplice: 60.000 posti sono a rischio. Parola del capo Fiat, Marchionne.

Questa è Fiat. Sempre a traino. Industria bellica e commesse dallo Stato. Industria civile e e protezione dello Stato. Unione europea e incentivi (da parte dello Stato) alla rottamazione e all'acquisto. Per ogni stagione, una soluzione. Dallo Stato.

Da sempre, una costante: utili privatizzati, perdite socializzate.

Luca Procaccini

lunedì 26 gennaio 2009

Frasi di Berlusconi: voce del verbo strumentalizzare


Berlusconi ha detto una cosa vera: ci vorrebbe un militare per difendere ogni singola ragazza bella. Infatti, in ogni dove queste cose tristemente accadono, e così sarebbe anche se venisse schierato l'esercito ovunque.

Tuttavia, la sinistra strumentalizza tutto. No, secondo i sinistroidi, quella frase Berlusconi non doveva dirla.

Ma la tesi semmai è carente perché, se è vero che neanche con un militare per ogni bella donna potrebbe esserci tutela dalla vile violenza, e al di là degli indignati per professione di targa Pd, la domanda è: e per le donne brutte? Almeno mandateci i riservisti…

[foto via flickr.com/photos/brykmantra]

Sandro Sisler

Archivio Genco: pubblicate le prime intercettazioni


Dall’archivio composto da 350.000 intercettazioni dell’assistente del Pm De Magistris trapelano stralci di conversazioni.

Riceviamo e pubblichiamo.

Veronica: “Stai sempre a fare il cascamorto, quando che torni a casa ti gonfio e poi scrivo una lettera a Repubblica”.

Silvio: “Mi consenta, neanche ho fatto il militare. E poi, era una carineria”.

Uolter
: “Me l’ha detto anche Obama, alle prossime comunali di Cinisello Balsamo dovremmo tenere”.

Lapo: “Sì Martina, torno a casa per cena ma prima mi fermo a prender due finocchi e qualche zucchina”.

E poi dicono che lo strumento delle intercettazioni non è indispensabile alle indagini…

[foto via flickr.com/photos/chiacomo]

Luca Procaccini

sabato 24 gennaio 2009

A sinistra esperimenti atomici in corso


È gioco forza che in Italia si torni a parlare di nucleare. Ci sono già gli esperimenti, in politica. La sinistra, ch’era il Pds, vide nascere da una sua costola Rifondazione comunista la quale, a sua volta, partorì il partito dei Comunisti italiani e oggi porta a battesimo l’Rps. L’acronimo di Rifondazione per la sinistra.

Ormai fuori dal Parlamento con l’Arcobaleno (che aggregava tutte le anime sinistre), perché non raggiungeva il minimo dei consensi necessari a eleggere un deputato o un senatore, la sinistra continua a scindersi.

Quattro gatti e qualche nostalgico che litigano e si salutano malamente. Cose da scienziati. Ormai, siamo alla scissione dell’atomo.

[foto via flickr.com/photos/vinx80x]

Luca Procaccini

Travaglio. È pronto per il Senato con Di Pietro?


La maturazione è completa. Travaglio, che amava appellare (quasi) tutti quei politici che avevano a che fare con la giustizia come indagati, imputati, condannati, indultati e prescritti a seconda della condizione processuale in cui versava il soggetto delle sue attenzioni, è maturo per il grande passo.

L’avvicinamento è stato lento ma costante. Prima indagato, poi mandato a giudizio e perciò imputato. Quindi condannato ma con la pena condonata perché indultato. Infine, appellante con speranza d’esser prescritto.

Consapevole delle potenzialità, con questo pedigree, e diventato pure smaliziato. Ad AnnoZero col Santoro a stuzzicare l’ospite Di Pietro, il Travaglio ambizioso s’è ben guardato dall’incalzare il deputato per il figlio indagato.

Lo stile è cambiato, e non sentiremo più dire “nessun condannato” sullo scranno del Senato. Vuoi vedere che l’uomo è diventato moderato e ce lo troveremo sì condannato, ma anche in predicato, nelle liste dell’Idv, ad esser candidato?

[foto via qui]

Luca Procaccini

Precari, la sinistra fra sfiga e sciacallaggio politico


Dopo la proposta dei 1.000 euro al mese come reddito minimo garantito ai precari, spot dell’ultima campagna elettorale del Pd, è arrivata la peggior crisi economica del secolo e molti precari son diventati semplicemente disoccupati. Oggi il Partito del nuovo modo di fare politica ci riprova. Sussidio unico per i disoccupati e reddito minimo garantito.

Ed ecco che siamo di nuovo in campagna elettorale, ma per Comuni, Province e Regioni. Che non hanno le competenze a normare sulla materia. Al di là della considerazione che il precariato (sempre esistito sotto forma di economia sommersa) è stato regolamentato per la prima volta con i co.co.co del ministro del lavoro Treu del primo Prodi, e che oggi con le modifiche del centrodestra, e la sostituzione di co.co.co con i lavori a progetto, il lavoratore è meglio garantito, la domanda è: mica staranno a fare sciacallaggio sulla peggior crisi degli ultimi cent’anni?!

Abbiamo capito che il Pd non ha mai rappresentato il nuovo, ma che porti pure male è una tristezza…

[foto via flickr.com/photos/roberto_ferrari]

Luca Procaccini

giovedì 22 gennaio 2009

Obama. Finché c'è guerra c'è speranza?

Da decenni, l’economia degli Stati Uniti si basa su tre pilastri: credito al consumo; automobile; industria militare.

Negli Usa, il credito al consumo è in coma. Gli istituti finanziari non concedono un prestito manco sotto tortura. La causa è il flop dei mutui subprime. Le banche non vogliono più yankee indebitati che non riescono a estinguere il debito.

Passiamo all’auto. Le Big Three non se la passano granché bene. General Motors e Chrysler han chiesto e ottenuto soldi dal Governo Usa, e ora devono dimostrare di saper camminare con le proprie gambe. Ford o si risolleva nei prossimi mesi oppure segue il declino delle due sorelle.

Industria militare. Resta florida. Le guerre sul pianeta non mancano. Le richieste d’armi sono sempre frequenti.

Ma vuoi vedere che Obama, in futuro, seminerà la pace facendo la guerra? Altrimenti l'industria bellica come sopravviverà? Lo sapeva anche Alberto Sordi: “Finché c’è guerra c’è speranza”.

Luca Procaccini

martedì 20 gennaio 2009

Dite a Veltroni che ha vinto Obama, ma in America


Finalmente è arrivato Barack, anche se non si può dire che l’abbia fatto con discrezione.
In questo clima di crisi, forse ci si sarebbe aspettati un po’ più di austerità e, invece, giù con festeggiamenti e parate che neanche il Carnevale di Rio ce ne ha donate di così belle.

Comunque, un gran fregarsi di mani qui in Italia dalle parti del Pd. Svolta epocale o no (il discorso di Obama, sostanzialmente nazionalista ed equilibrato, è tale da non far intendere che stia per arrivare il Messia), Veltroni è al settimo cielo come se avesse vinto lui in America, od Obama in Italia.

E allora, calma ragazzo che per te non ce n’è. Qui il Pd è Bassolino con la Iervolino (che oggi ha formato la Giunta a Napoli dopo inchieste e arresti), o D’Alfonso col certificato medico (che gli è stato utile a rimaner aggrappato all’indennità di sindaco di Pescara), e neanche se vi pitturate la faccia di nero riuscirete a passar per nuovi.

In ogni caso, in bocca al lupo per le prossime elezioni provinciali del Kentucky. Lì pare siate in vantaggio.

[foto via flickr.com/photos/e-coli]

Luca Procaccini

Cesare Battisti in Italia: la sinistra fa ridere un po' ovunque


Cesare Battisti, terrorista di sinistra dei Proletari armati per il comunismo - condannato in Italia all’ergastolo con sentenze passate in giudicato per quattro omicidi, sfuggito alla pena prima rifugiandosi in Francia perché ai tempi di Mitterrand gli era stato garantito, a lui come ad altri terroristi, lo status di rifugiato politico - era poi scappato in Brasile quando in Francia era stata accolta la richiesta d’estradizione del bandito verso l’Italia.

Così, dopo anni di latitanza in Brasile, veniva finalmente arrestato e, con buon senso manifesto da parte dei giudici brasiliani, gli era stato negato lo status di rifugiato politico ed era stata spianata la strada per l’estradizione verso l’Italia. Però, nonostante le decisioni dei magistrati del suo Paese, il ministro della Giustizia brasiliano ha stabilito di riconoscere comunque lo status di rifugiato a Battisti motivando la decisione con il timore per la sua vita in caso di rientro dell’uomo in Italia. Come se Italia ci fosse la giustizia di un Paese sudamericano.

La crisi diplomatica parrebbe risolta, grazie all'intervento del presidente Napolitano, il quale ha spiegato al presidente Lula che Battisti non rischia nulla.

Tutti soddisfatti dunque, anche i simpatizzanti di sinistra che con la decisione presa dal ministro progressista brasiliano hanno tirato un sospiro di sollievo. Mal comune mezzo gaudio, non solo in Italia la sinistra fa ridere.

Sandro Sisler

Berlusconi e Annunziata: un rapporto ricostruito in mezz’ora


È di questi giorni la notizia che Lucia Annunziata, non in accordo con la conduzione della trasmissione del Santoro perché faziosa, dopo mezz’ora di sproloqui decide di posare il microfono ed abbandonare prima della conclusione.

È di qualche tempo addietro la notizia che Silvio Berlusconi, ospite di “In 1/2 ora”, in disaccordo con l’Annunziata perché faziosa nella conduzione della trasmissione, dopo meno di mezz’ora di tirate a senso unico decise di salutare anzitempo e lasciare il programma televisivo. In quell’occasione, il presidente del Consiglio apostrofò Annunziata come “una persona violenta” e poi disse “me ve vado”, ma altrettanto determinata l’Annunziata rispose “non lo faccia, non le conviene”, e alla replica del Berlusca “non mi dica quello che devo fare, posso dire quello che voglio”, la conduttrice se ne uscì con un “non può dettare le regole”.

Torniamo all'oggidì. Con l’Annunziata che emula il Cavaliere e lascia la trasmissione del Santoro perché non ne sopporta la condotta, il premier gongola al ricordo di quel che le disse quando fu costretto ad andarsene: “Complimenti, lei ha illustrato bene come si comporta una persona che sta a sinistra. Deve avere un po' di vergogna per come si è comportata”. Lui affermò quello che, probabilmente oggi d’accordo con l’Annunziata, la stessa Annunziata verosimilmente pensa del Santoro conduttore.

[foto via flickr.com/photos/ahmedrabea]

Luca Procaccini

domenica 18 gennaio 2009

Antonio Di Pietro, ma lei che s’aspettava: la notifica dal “Corriere della Sera”?

Antonio Di Pietro, appresa la notizia rilanciata dall’agenzia di stampa dell’iscrizione del figlio Cristiano nel registro degli indagati nell’ambito dell’inchiesta Appaltopoli di Napoli, dove gli contestano l’abuso d’ufficio e la turbativa d’asta (vedi qui), denuncia l’anomalia italiana.

Forse, abituato ai tempi di quando aveva la toga e gli avvisi di garanzia venivano notificati a mezzo Corriere della Sera, non si aspettava il rilancio della notizia nell’etere da un’agenzia di stampa senza che l’avviso di garanzia finisse prima stampato dalla testata giornalistica.

Evidentemente, anche a Napoli si applica il rito ambrosiano.

Nessun’anomalia, quindi, ma progressi della tecnologia dal 1994 a oggi.

[foto via flickr.com/photos/lucamascaro]

Luca Procaccini

Di Pietro e Craxi: vicenda più viva che mai/1


Oggi è il nono anniversario dalla scomparsa di Craxi (in Tunisia).

Fino a pochi giorni addietro, per alcuni era uno statista rifugiatosi in terra amica, perché tradito in quella propria; invece, per Di Pietro, Craxi era un latitante fuggito all’estero.

Fino a pochi giorni addietro, per alcuni Craxi era uno cui non sono stati garantiti fino in fondo i diritti della difesa; per Di Pietro, uno responsabile in ogni caso perché non poteva non sapere.

Fino a pochi giorni addietro, Craxi era per alcuni quello che (coerentemente) in Parlamento invitò a fare un cenno chi tra gli astanti non avesse coscienza del sistema del finanziamento dei Partiti; per Di Pietro, uno che aveva reso confessione.

Fino a pochi giorni addietro, per alcuni era uno linciato dai media; per Di Pietro, Craxi era oggetto dell’informazione civile di un Paese democratico.

E arriviamo al nono anniversario dalla scomparsa.

Craxi per alcuni è uno statista tradito - e linciato dai media - cui non sono stati garantiti i diritti della difesa.

Chissà mai che anche Di Pietro la pensi così, dopo gli accidenti occorsi al figliolo per le richieste di raccomandazioni a seguito delle quali ne è derivata l’iscrizione nel registro degli indagati per l’ipotesi di commissione del reato di abuso d’ufficio e turbativa d’asta con immissione nel tritacarne dei media. E perché, in via ipotetica, Di Pietro dovrebbe pensarla così anche lui? Per il timore del fatto che gli italiani possano ritenere che non potesse non sapere di quanto faceva il figlio; così come Craxi non poteva non sapere che cosa facessero i suoi uomini di partito. Vedi qui.

[foto via flickr.com/photos/xurble]

Luca Procaccini

venerdì 16 gennaio 2009

Antonio Di Pietro “non poteva non sapere”?


La vicenda che vede indagato Cristiano Di Pietro - figlio del leader dell’Idv Antonio - nell’inchiesta sull’Appaltopoli partenopea per quelle telefonate all’ex provveditore alle opere pubbliche di Campania e Molise Mario Mautone (con al vaglio dei Pm della Dda diverse ipotesi di reato, come turbativa d’asta e abuso d’ufficio) porta la memoria agli anni dell’inchiesta milanese Mani pulite.

Tempi ormai lontani dove uno strepitoso pool d’inquirenti capitanato dal Di Pietro voleva rivoltare l’Italia come un calzino, come ebbe a dire il Davigo, e c’era mezzo riuscito.

Il modo era brillante quanto semplice. Con l’ausilio del teorema secondo il quale “non poteva non sapere”.

È così che, pur se i princìpi di diritto insegnavano che la responsabilità penale è personale e l’accusa deve fornir la prova di ciò che sostiene, era passato anche il principio del “non poteva non sapere”. Quindi, i vari Craxi e Forlani non potevano non saper ciò che accadeva nel loro partito e, certamente censurabili politicamente, alle volte divenivano anche processabili penalmente.

Allora, se la regola del “non poteva non sapere” - tanto in uso ai tempi del Di Pietro togato - volessimo applicarla anche al Di Pietro in politica impegnato, avremmo un risultato certificato.

Infatti, quel che è accaduto - secondo gl’inquirenti - ha riguardato l’Italia dei Valori della quale egli è il segretario quanto Craxi lo era del Partito socialista. E se Craxi “non poteva non sapere” quel che gli capitava in casa in senso figurato, Di Pietro “non poteva non sapere” quel che gli capitava in casa in senso letterale, perché di rapporto filiale s’è trattato.

Quindi, mi conforta il fatto che non pare sia ancora in voga il teorema del “non poteva non sapere”, e son curioso di conoscere se quel che sostiene la Procura troverà sostegno nella prova.

Se così dovesse essere, attendiamo di vedere qual uso farà Di Pietro dell’antico criterio del “non poteva non sapere”.

Nessuno vuole che sul semplice concetto si possa estender penalmente il precetto. Ma non potendosela cavare come Craxi con Chiesa tentò di fare (dandogli del “mariuolo”), da Di Pietro siam curiosi di sapere se possiamo dire che “non poteva non sapere”.

Luca Procaccini

giovedì 15 gennaio 2009

Travaglio indagato, imputato, condannato, indultato e forse anche prescritto


Chi ha avuto la disavventura di ascoltare qualche monologo di Travaglio, ospite costante delle trasmissioni di Santoro, certamente ricorda che il figuro amava marcare le distanze con coloro che, secondo lui, erano oltraggiosamente a ricoprir incarichi politici, anteponendo al nome la definizione di indagato, imputato, condannato, indultato e prescritto a seconda della condizione in cui il soggetto dell’attacco poteva versare.

Chi ha memoria del travagliato commento alla legge che varò l’indulto nel 2006 ricorderà che l’uomo recitava queste parole: "È chiaro che bisognerà al più presto reagire e far sentire la nostra voce contro l'inciucio presente e soprattutto contro quello prossimo venturo. Ne stiamo già parlando con alcuni dei promotori del Palavobis e dei girotondi, per organizzare alla ripresa autunnale una manifestazione per la legalità".

Chi ha presente la riforma del processo penale propugnata dal Travaglio sentirà familiari le parole di questi quando auspicava che si "abolisse il grado di appello [...] salvo l'emergere di nuove prove, e si introducesse un filtro severo ai ricorsi in Cassazione…".

Chi era abituato a vedere in Travaglio l’amante dei processi pubblici a mezzo stampa, i processi di piazza dove l'imputato spesso e volentieri non ha nemmeno diritto di replica e basta un avviso di garanzia perché si possa considerare il destinatario del provvedimento colpevole del misfatto, certamente si sarebbe aspettato coerenza nell’uomo.

Invece no, Travaglio è stato condannato a otto mesi di reclusione per diffamazione a Cesare Previti, s’è visto concedere l’indulto, e ora interpone appello avverso la sentenza e, essendo i fatti per cui è stata emessa condanna dell’anno di grazia 2000, con i tempi della giustizia nel grado d’appello (e magari, se necessario, con l’ausilio del ricorso in Cassazione) ci sta pure che ottiene la prescrizione del reato.

Così colui che ha talmente abusato dell’apostrofare a fini dispregiativi del prossimo il termine condannato - tanto che quando, nel corso della puntata di AnnoZero, il ministro Castelli gli ricordava d’esser stato condannato per diffamazione in sede civile, tenne a precisare che era soccombente e non condannato generando evidente ilarità per il tentativo di smarcarsi col sottile distinguo - oggi è diventato nientemeno che indagato, imputato, condannato, indultato e in predicato d’esser pure prescritto.

Quando il bue dà del cornuto all’asino.

[foto via flickr.com/photos/biscuitsmlp]

Luca Procaccini

mercoledì 14 gennaio 2009

Ecopazz


È risaputo che sia in atto una crociata senza precedenti contro auto e moto vecchie. Prima, blocco del traffico in alcune fasce orarie; poi, blocco totale, a Napoli come a Milano. Qui anche con l’applicazione del balzello dell’Ecopass, per fare accedere le vecchie glorie della motorizzazione in centro.

Ora, senza scomodare i cervelloni per notare che il livello d’inquinamento da polveri sottili si innalza molto spesso d’inverno, quando vanno i riscaldamenti - mentre in primavera, estate e parte dell’autunno il fenomeno non si ripete se non sono accesi i riscaldamenti -, la domanda è: ma auto e moto sono determinanti nel fenomeno dell’inquinamento selvaggio da polveri sottili o è il riscaldamento di case, uffici e opifici a scatenare le polveri sottili?

Questione non da poco se si pensa che esistono sì normative antinquinamento per l’installazione delle caldaie nei nuovi fabbricati, e incentivi di vario genere per la sostituzione di quelle di vecchia generazione; ma non c’è una norma che metta fuori legge gli impianti di riscaldamento obsoleti e ne imponga la sostituzione entro un termine, pena l’impossibilità di accendere l’impianto prima in certe fasce orarie, poi definitivamente, passando per un periodo di tempo nel quale è possibile accenderlo pagando l’equivalente di un Ecopass giornaliero.

A pensar male si pecca, ma spesso ci si indovina, come ama dire Andreotti dall’alto delle 90 primavere, delle quali moltissime l’hanno visto protagonista d’intuizione e fiuto; però non è che la spiegazione della politica sull’inquinamento è da cercare più nel timore di adottare provvedimenti impopolari e dall’essere tutti un po’ lacché di casa Agnelli? Infatti, se impongo la sostituzione degli impianti di riscaldamento, che comportano investimenti sostanziosi, faccio imbestialire tutto il vasto elettorato che sarebbe costretto a metter pesantemente mano al portafoglio, con perdita di quantità industriali di voti. Se invece costringo al rinnovamento continuo del parco auto e moto, magari anche con incentivi oltreché con penalizzazioni, tampono il problema delle polveri sottili, ma non lo risolvo. Al contempo lustro le maniglie di casa Agnelli.

E nulla di male. Peccato che chi ne paga il dazio è la fascia debole della popolazione: quella, per intenderci, che ha curato la propria Fiat Tipo diesel azzurro metallizzato come una figlia. Certo, non quello che può cambiare il monovolume con il Suv, perché questa è la tendenza del momento.

Insomma, provvedimenti inutilmente sperequativi, oltre che sostanzialmente inefficaci, ma bipartisan, giungono istericamente da destra come da sinistra. A seconda di chi è al governo sia delle grandi città per quanto riguarda le limitazioni alla circolazione sia del Paese per ciò che consta gli incentivi alla rottamazione.

E diciamola ancora con Andreotti: vuoi vedere che il potere logora chi non ce l’ha, ma anche chi ce l’ha e non sa usarlo?

[foto via Dalla parte di chi guida, straordinario blog del network Blogosfere, che ha fatto esplodere il caso Ecopass-multe]

Sandro Sisler

martedì 13 gennaio 2009

Stop a cervelli e uccelli in fuga


In Italia, si discute molto della fuga dei cervelli perché, dicono, la ricerca non è possibile farsi in modo eccellente. E allora si accusa l’università di non saper trattenere le menti migliori, e il Governo di non saper creare le condizioni affinché i cervelli emigrati tornino nel Belpaese.
Insomma, i cervelli fuggono dall’Italia e quasi mai vi ritornano, a dispetto d’ogni riforma, anche di quella del ministro Gelmini. Tuttavia, c’è un altro tipo di fuga all’estero che interessa l’Italia: in questo caso, non si tratta di eccellenza, ma della migrazione degli uccelli.

Come è noto, la prostituzione da noi non è esercitata sotto il controllo dello Stato, com’era una volta quando con le case di tolleranza si offriva anche qui il servizio nel rispetto della norma, garantito dal controllo sanitario, e con tanto di pagamento delle tasse dalle esercenti la professione. È nel 1958, con la famigerata legge Merlin, che in Italia si chiudevano le case di tolleranza e veniva introdotto il reato di sfruttamento della prostituzione. Questa normativa è stata poi inasprita dagli interventi degli amministratori locali, che con ordinanze di vario genere hanno provato a eliminare, o ridurre, il fenomeno dal territorio comunale amministrato.

È così che, a titolo d’esempio, se viene colto un milanese a negoziare il servizio con la lucciola, sulla pubblica via, gli si affibbia l’esosa sanzione pecuniaria. Ancor di più subisce il veronese che, oltre al trattamento riservato ai milanesi, può vedersi contestato l’illecito pur se si serve di chi batte in casa e non offre l’indecoroso spettacolo sulla via comunale. E tutto questo nonostante il ministro Carfagna intenda metter mano alla norma, e uniformare il sistema, con una legge che consenta il meretricio, ma tuteli la dignità della persona.

A prescindere dal fatto che un'indagine della commissione Affari sociali della Camera del 2003 ha concluso che le prostitute sarebbero in Italia dalle 50mila alle 70mila, dimostrando con ciò che la normativa in essere non ha eliminato il fenomeno, ma ha solo tacitato la coscienza degli ipocriti, due considerazioni pratiche devono farsi: uno, c’è un esercito di lavoratrici che non paga le tasse; due, il sistema repressivo spinge chi ha voglia del servizio a procurarselo all’estero. Il cosiddetto turismo sessuale, o fuga degli uccelli.

Problema: a differenza dei cervelli che quando vanno all’estero non tornano più con disappunto generale perché c’è consapevolezza della perdita, gli uccelli che migrano tornano, ma non sempre c’è da esser contenti. Infatti, oltre alla considerazione secondo la quale si poteva conservare in Italia la transazione economica, con movimentazione dell’economia e beneficio per il fisco, non sempre si può star certi che il Paese ospitante la temporanea migrazione dell’uccello abbia garantito a questo di non tornare in patria virato, ossia malato.

Quindi, che continuino le battaglie dei ministri Gelmini e Carfagna affinché riescano, rispettivamente all’università e alle pari opportunità, a far tornare i cervelli e a trattenere gli uccelli.

[foto via flickr.com/photos/araswami]

Luca Procaccini

lunedì 12 gennaio 2009

Piedigrotta e sputtaNapoli, le due tracce lasciate dalla Iervolino a Napoli


Sette anni di governo Iervolino a Napoli con poco degno da far ricordare ai posteri. L’unica traccia della mano iervoliniana era, fino a qualche settimana fa, il ripristino della millenaria festa di Piedigrotta. Che visse il suo massimo splendore fra la fine del 1800 e la seconda metà del 1900, quando divenne vetrina della musica partenopea in concomitanza col festival della canzone napoletana, prima di essere soppressa negli anni Sessanta. Poi, nel 2007, il Comune di Napoli ha ripristinato la festa. Già quando il sindaco partenopeo era Bassolino, in città era arrivato il Festivalbar e la tradizione di festeggiare il capodanno con concerto in piazza.

Con queste premesse, la continuità nella politica territoriale del Pd non poteva che prevedere altra festa, e la finezza della Iervolino fu quella di ammantare lo strumento di governo con il fascino della storia e della tradizione. Ed ecco Piedigrotta.

Nulla di nuovo a ben pensarci, evoluzione del motto di governo di sapore borbonico: al popolo bisogna dare “festa, farina e forca”. Ossia, festeggiamenti per non far pensare, pane per saziare e forca in piazza per ammonire. Da allora a oggi poco è cambiato. Niente esecuzioni in piazza, ma tanta festa e promessa di posti di lavoro utili a procurare il pane.

Qui s’era esaurita la spinta della giunta quando la Iervolino ha smesso di far festa e ha cominciato la commedia con i suoi del Pd. Napoli sommersa di rifiuti e la Iervolino che con una battuta liquida il problema asserendo che nessuno ne sarebbe morto.

L’assessore della giunta agli arresti per i disordini dovuti all’apertura della discarica, ma coinvolto anche in altra indagine per commissione di reati negli appalti pubblici, e il sindaco che commenta il suicidio come “sussulto di dignità che ad altri sarebbe mancato”, riferendosi agli altri assessori coinvolti nello scandalo. Vedi qui.

Veltroni e il presidente provinciale del Pd, Nicolais, che chiedono per Napoli una svolta e contestano la scelta della Iervolino di risolvere l’imbarazzo per l’inchiesta giudiziaria con un semplice rimpasto di giunta, e la sindachessa che va avanti infischiandosene.

Il presidente provinciale del Pd Nicolais che si dimette in segno di protesta per la scelta della Iervolino di non aderire all’indicazione del Partito, e lei che si dichiara disposta a fornire ai media le registrazioni delle conversazioni intervenute tra il sindaco del Pd e il presidente provinciale del partito per dimostrare che questi in pubblico dice una cosa, ma in privato ne sostiene altra.

I media che attendono le registrazioni incriminate e Nicolais il quale oppone diniego alla Iervolino a che vengano divulgate.

L’ex ministro del Pd Lanzillotta che propone di sfiduciare la Iervolino e questa che le manda a dire di farsi gli affari suoi.

Signori, sputtaNapoli è servita. Speriamo non ci sia replica.

[foto via flickr, album di laverrue]

Luca Procaccini

domenica 11 gennaio 2009

Cercate la femmina: con una leggina, l’economia italiana si rilancia


Si lambiccano il cervello per capire cosa fare per rilanciare i consumi in Italia e rimettere in moto l’economia. La soluzione è semplice: una legge che riapre le case chiuse.

La prostituzione nel mondo è regolamentata giuridicamente in modo ampio e variegato, ma sin dai tempi della Grecia antica esisteva sia la prostituzione femminile sia quella maschile. E già da allora le prostitute pagavano le tasse. Ora, se con una leggina abbandonassimo il sistema proibizionista e criminalizzante per abbracciare il sistema regolamentarista (teso alla legalizzazione della prostituzione) con tanto d'imposizione di tasse, il gioco sarebbe fatto.

D’altra parte, già nella storia preunitaria, Cavour - astro del Risorgimento italiano - con un decreto del 1859 rese possibile l'apertura di case controllate dallo Stato per l'esercizio della prostituzione. E nel 1860 il decreto fu trasformato in legge con l'emanazione del "Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione", con tanto di tariffe (5 lire per le case di lusso, 2 lire per quelle popolari, che poi vennero resi più accessibili dal ministro dell’interno Nicotera per limitare la prostituzione libera, la quale non subiva il controllo sanitario) e obbligo di pagare le tasse per i tenutari.

Il sistema non ha conosciuto intoppi per un secolo, con una parentesi nell’anno di grazia del 1900, perché si chiedeva la chiusura delle case di tolleranza a seguito dell'attentato a re Umberto I da parte dell'anarchico Bresci. Che i giorni prima dell’attentato li avrebbe trascorsi in un bordello. Alcuni dicono a meditare, i più pensano perché sapeva d’esser destinato a morte certa.

Solo nel 1958, con la famigerata legge Merlin, in Italia si chiudevano le case di tolleranza e veniva introdotto il reato di sfruttamento della prostituzione. Poi, nel tempo, vuoi per lo spettacolo indecoroso sulle strade, per le storie di cronaca che ci hanno riportato ai tempi della tratta degli schiavi, o per la sicurezza (sotto il profilo sanitario e dell’incolumità personale di esercenti la professione e dei clienti), anche in Italia s’è da più parti proposto di tornare a rendere legale il mestiere della meretrice in locale all’uopo destinato.

Attenzione. Un'indagine della commissione Affari sociali della Camera del 2003 ha concluso che le prostitute sono in Italia dalle 50mila alle 70mila, delle quali almeno 25mila immigrate, 2mila minorenni. Invece, sono 2mila le donne e le ragazze ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi. Insomma, le prostitute sono numerose e, sempre secondo la commissione, il 65% lavora in strada, il 29,1% in albergo, il resto in case private. Un esercito di lavoratori che non paga le tasse.

Se già in Italia era possibile esercitare l’antico mestiere, e in altri Paesi (anche di cultura occidentale) lo è tuttora, torniamo anche noi ai vecchi costumi. Così facendo, in un sol colpo liberiamo le strade, ci sinceriamo che a batter ci sia chi ne ha voglia con regolare pagamento delle tasse. Così, ecco entrate milionarie per il fisco al quale il piatto piange sempre e, ne siam certi, iniezione di fiducia nei consumatori. Infatti, gli esperti sostengono che con l’apertura del mercato migliorano le offerte e, di conseguenza, aumenta la domanda e si incrementa la spesa.

E poi, è innegabile che l’economia mondiale sta andando a puttane. A quanto pare in Italia ci siamo subito adeguati al trend del momento. Almeno formalizziamo.

[foto via puttanopoly.com]

Luca Procaccini

sabato 10 gennaio 2009

Dalla Fiat a Patrizia, una delle storie italiane



La Fiat è la storia dell’Italia. Ce lo hanno voluto far credere con lo spot visto in tv dove si associavano alla Fiat la storia, per immagini, dell’Italia recente: ci riferiamo allo spot della 500 (vedi video in alto).

Ora, passi che la Fiat, nella sua ultracentenaria storia, s’è distinta per essere stata pronta a convertire l’industria all’economia di guerra, sia nel primo sia nel secondo conflitto mondiale, per poi riconvertirsi immediatamente all’economia di pace. Passi anche che la Fiat ha influenzato le politiche per l’incremento delle infrastrutture, nel senso di sviluppare la rete di strade e autostrade a discapito del trasporto ferroviario. Si sorvoli pure sul fatto che la Fiat ha beneficiato di contributi pubblici per l’apertura di fabbriche nel depresso Meridione d’Italia, poi ne ha chiuse alcune, al Nord come al Sud, e ha fatto accesso a man bassa all’istituto della cassa integrazione per andare all’estero a insediare stabilimenti di produzione. Pace infine al fatto che la Fiat privatizza gli utili e socializza le perdite.

Abbiamo superato tutto questo, ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è lo spot incriminato.

Infatti, gli italiani, popolo latino che difende strenuamente la fama d’esser gente focosa conosciuta in tutto il mondo per le arti amatorie, ancora non ha capito come è potuto succedere che il rampollo della casa Lapo Elkann, all’epoca in coppia con la sventola Martina Stella, abbia potuto preferire d’accompagnarsi con Patrizia per far festini.

E allora, tolleriamo perfino che i media facciano ogni sforzo per farci piacere Lapo propinandocelo continuamente in video e carta stampata.

Però, secondo noi, l’Italia e gli italiani sono altra cosa dallo spot visto in tv.

Sandro Sisler

venerdì 9 gennaio 2009

Rai: a quando i pantaloncini corti con il frac rosa?


Nelle ore scorse, Beppe Grillo ha lanciato una campagna per boicottare il canone Rai. Dicendo fra l'altro in tono dispregiativo: "Giornalisti (?) come Riotta e Mimun diventano direttori di testata". Vedi qui. Noi ci limitiamo a una piccola aggiunta. A Riotta - che ha studiato Logica all'Università di Palermo e giornalismo alla Columbia University di New York, dove è stato mentor dei laureandi, che ha lavorato per vari giornali da Roma, poi da New York come commentatore del Corriere della Sera, e ha condotto la serie tv "Milano, Italia" oltre ad aver pubblicato libri prima di divenire il direttore del Tg1 (ossia il più importante Tg Rai) - una domanda gliela si deve fare. Dunque, quando lui appare in video con camicia bianca e cravatta, ma senza la giacca: che cosa ci rappresenta?

Siamo stati straziati dalle giacche improponibili di Mughini, dalle cravatte improbabili di Klaus Davi, dalle calze e dalle camicie di Luca Giurato. Ma quello lo capivamo, cattivo gusto misto voglia di farsi notare. Componenti da miscelare a piacimento.

Invece, la camicia bianca con cravatta senza giacca proprio non la comprendiamo. Specialmente se è il direttore del Tg1 a propinarcela. E da un po' anche il conduttore di "Uno mattina" Michele Cucuzza presenta il programma così, camicia e cravatta senza giacca. Irritante.

Ribelliamoci prima che qualcuno s’inventi i pantaloncini corti con il frac rosa per diventare un giornalista che si distingue in Rai.

Luca Procaccini

La sinistra diceva "We care”, dice “We can”, dirà “They win”


Se in politica funzionassero le regole della Borsa, le quotazioni del Pd verrebbero sospese per eccesso di ribasso. Il partito, che è la fusione a freddo dei Ds con la Margherita, non ha mai avuto un livello di gradimento così misero da quando è costituito, neanche al tempo delle due compagini (sommando le percentuali di ognuna). Quattro i motivi.

Primo. Agli italiani questo scimmiottare gli americani irrita. Alle elezioni del 2006, c’era Fassino che aveva scelto come slogan “We care”, mentre nel 2008 Veltroni s’è atteggiato a Obama di borgata facendo suo lo slogan “We can”.

Secondo. Il Pd non appare in grado di amministrare un condominio, figurarsi l’Italia o i suoi Enti locali. E ciò perché la dirigenza neanche riesce a governare i suoi uomini.

a) In Sardegna il governatore Soru si è dimesso per contrasti con la sua maggioranza e si tornerà a votare.

b) In Campania, è stato chiesto di fare un passo indietro sia a Bassolino (governatore della Regione), sia alla Iervolino (sindaco di Napoli), ma ne è sortita solo la dimissione dall’incarico di partito di segretario cittadino di Napoli del Prof. Nicolais. Le cause? Era in disaccordo col sindaco, sia per il rimpasto della Giunta dopo lo scandalo giudiziario sia perché - immaginiamo - piccato dal fatto che la sindachessa aveva registrato alcune conversazioni tra loro intervenute (come dalla stessa candidamente affermato ai media).

c) In quel di Pescara, il sindaco D’Alfonso (che era anche segretario regionale del Pd), inguaiato da un’indagine della magistratura, si dimette e poi ci ripensa. Ritira le dimissioni e conserva l’indennità affidando a un certificato medico il compito di tenerlo in sella. Vedi qui.

d) A Firenze, altro casus belli e il sindaco Domenici s’incatena per protestare.

Quindi, delle due l’una, o il Pd non ha i vertici in grado di gestire la propria classe dirigente, o il Pd non ha i vertici.

Terzo. Non aiuta al Pd l’essere il Partito politico che oggi somiglia di più alla Dc e al Psi dei primi anni ’90, per il numero di dirigenti e amministratori coinvolti in indagini di giustizia per presunti reati quali associazione a delinquere, concussione, corruzione, turbativa d’asta, truffa e peculato.

Quarto. A giustificare la caduta libera dei consensi, serve la chiave di lettura dell’apparentamento del Pd con Di Pietro. L’uomo sta cannibalizzando l’alleato. Così, il Pd di Veltroni - il quale in campagna elettorale s’era spacciato per partito moderato che abbandonava la bandiera dell’antiberlusconismo quale strumento di lotta politica - ha visto Di Pietro abbracciare lo stendardo e abbaiare ai quattro venti d’essere l’unico a far opposizione in Parlamento. Con tanto di ringraziamenti per la messe di voti che si sono spostati dal Pd all’Italia dei valori.

[foto via flickr.com/photos/arkangel]

Sandro Sisler

mercoledì 7 gennaio 2009

D'Alfonso, Veltroni e il nuovo che avanza


In quel di Pescara veniva carcerato, agli arresti domiciliari, il sindaco D’Alfonso perché secondo gl’inquirenti maneggiava la cosa pubblica non nell’interesse comune ma col fine di farne profitto privato. Tanto da veder contestare al primo cittadino l’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla concussione, truffa, falso e peculato. Poi, con le dimissioni del sindaco, il Giudice per le indagini preliminari si determinava nel senso di concedergli la libertà perché, con lo scioglimento del Consiglio comunale, sarebbe arrivato il Commissario prefettizio. Quindi, allontanato il "discolo" e i suoi "accoliti", secondo il Giudice s’era al riparo dal pericolo che l’"allegra brigata" potesse ripetersi nella condotta delittuosa, e dal rischio che l’indagato potesse inquinare le prove. Ma l’impianto accusatorio che aveva condotto all’arresto del sindaco veniva dal Giudice integralmente confermato.

Nonostante ciò, il Pd, per bocca di Veltroni, s’era scandalizzato del fatto che ad arresto era seguito dopo pochi giorni la liberazione. E anche se le motivazioni della scarcerazione non alleggerivano d’un grammo la pesante posizione dell’indagato, il segretario s’agitava come se a una vergine era stato contestato d’essersi data per denaro. Non c’è limite alla decenza, pensavamo noi, e se questo è il rinnovamento della politica praticato dal Partito democratico, si stava meglio quando si stava peggio. Almeno, ai tempi del Partito comunista, non s’udiva un segretario dire di tali patacche.

Poi, finalmente, la svolta. Basta con il vecchio modo di fare politica nel Pd. Non sentiremo più dichiarazioni come quelle di Bassolino il quale, travolto dallo scandalo dei rifiuti, ebbe a dire che non mollava lo scranno perché nel momento di difficoltà bisogna assumersi le responsabilità e rimanere al proprio posto. O come quelle della Iervolino, secondo la quale nessuno sarebbe morto per un po’ di “monnezza” (quando Napoli ne era sommersa), salvo poi partecipare alle esequie del suo assessore, suicidatosi ai tempi in cui era agli arresti, perché coinvolto nei disordini scoppiati per le proteste contro l’apertura della discarica nel quartiere di Pianura. Non vedremo più commedie come quelle inscenate dal sindaco di Napoli che, per giustificare l’attaccamento alla poltrona, invece delle dimissioni quale epilogo dello scandalo giudiziario per la vicenda dell’appalto ultramilionario che riguardava la manutenzione delle strade (ha portato agli arresti quattro dei suoi assessori della presente giunta come di quella del precedente mandato elettorale), ci viene a dire che Napoli è un valido laboratorio sperimentale per il centrosinistra. Non assisteremo più a sindaci che si incatenano ai pali per un’intera mezz’ora, come fece Domenici (Firenze) per protestare contro la stampa di Repubblica e l’espresso che non gli era più amica, salvo poi congedarsi perché ormai s’era fatta ora di pranzo e la pietanza si freddava.

Basta con il vecchio, fate spazio al nuovo che avanza e porta il nome di D’Alfonso da Pescara.
Ora il nuovo si materializza anche attraverso un certificato medico. Ognuno di noi sa che un certificato medico non si nega a nessuno, tanto che Brunetta ha previsto la visita fiscale immediata al dipendente pubblico che si assenta dal lavoro e come “pezza d’appoggio” ci mette l’immancabile certificato a comprovare lo stato di malessere organico. Ebbene, D’Alfonso ci informa d’essere malato (e noi gli crediamo, così come crediamo all'onestà del suo medico), e lo dimostra esibendo il certificato medico stilatogli dal curante che è anche consigliere comunale di maggioranza. Poi, ritira le dimissioni e, fintantoché non guarirà della sua infermità, conserverà l’indennità di carica (il Giornale parla fra l'altro di 4.000 euro netti al mese) e il suo vice lo sostituirà. Ecco fatto, la carica è salva e il Consiglio comunale non si scioglierà.

[foto via flickr.com/photos/athomeinscottsdale]

Luca Procaccini

martedì 6 gennaio 2009

Iervolino, immondizia e corruzione: una Napoli da suicidio


Il mondo cattolico, ma anche quello laico, è in apprensione per la sorte della Giunta Iervolino. Dai verbali delle informazioni testimoniali rese dal sindaco di Napoli, abbiamo appreso che questi ha commentato il suicidio del povero assessore Giorgio Nugnes come un sussulto di dignità che ad altri sarebbe mancato: qui. È così che dopo sette anni di governo della Iervolino, questa come d’incanto s’è accorta d’essersi scelta assessori “sfrantummati” (che si po’ tradurre dal napoletano in “falliti”), e ha inteso l’estremo insano gesto del suicida come sussulto di dignità.

Tali drammatiche considerazioni la sindachessa le ha fatte all’esito degli arresti dei suoi assessori, nel corso dell’inchiesta di giustizia che intende dimostrare l’esistenza di accordi delittuosi tra amministratori pubblici e impresa privata per l’aggiudicazione di appalto ultramilionario (oggetto, la manutenzione delle strade di Napoli), quando s’è resa conto di ciò che sarebbe accaduto sotto il suo naso.

Le dichiarazioni dirompenti della Rosetta hanno fatto impressione ai timorati di Dio, come ai laici rispettosi del bene della vita, perché è apparso a tutti evidente che se interviene altro sprazzo di lucidità nella mente provata della donna, e questa dovesse malauguratamente rendersi conto della figuraccia fatta in tutto il pianeta quando Napoli s’è vista in mondovisione sommersa di rifiuti, per insolito quanto imprevedibile sussulto di dignità, concreto diverrebbe il rischio di suicidio di massa dei componenti la Giunta. Senza considerare altri scandalucci sparsi qua e là.

Intellettuali, uomini di fede e delle istituzioni, militanti di partito, semplici cittadini, tutti allarmati da questi paventati scenari tragici, sono corsi a ricordare al sindaco e alla Giunta che gesto nobile per riaffermare la loro dignità è quello delle dimissioni da sindaco e assessore. Atto sufficiente che salva la vita per rendere l’anima a Dio quando questi la richiede.

Comunque, nonostante i saggi consigli, il pericolo non è scongiurato: pare che tra sindaco e assessori si sussurri con convinzione “meglio morti che senza poltrona”.

[foto via Comune di Napoli]

Luca Procaccini

Antonio Di Pietro? Fra sbancato e sbiancato, c'è da impazzire


Anni addietro, un signore di nome Pacini Battaglia, di professione faccendiere, venne intercettato nell’àmbito di una conversazione, e non si è mai capito se ha detto: “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato” oppure “Di Pietro e Lucibello mi hanno sbiancato”. Pacini Battaglia finì nel tritacarne di Mani pulite, famosa indagine penale capitanata da Di Pietro. Il quale allora era Pubblico ministero della Procura della Repubblica di Milano, città dove esercitava, ed esercita, la professione d’avvocato Lucibello, in rapporti con Di Pietro stesso.

All’intercettato Pacini Battaglia venne chiesto (nel corso di un procedimento penale dov’era indagato Di Pietro) il perché dell’affermazione secondo la quale Di Pietro e Lucibello l’avrebbero “sbancato”. E il chiarimento fu questo: c’era equivoco, perché non “sbancato” s’era detto, ma “sbiancato”.

Alla fine delle indagini, con sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Di Pietro (emessa dal Giudice dell’udienza preliminare di Brescia, che per motivi di forma non poté acquisire la registrazione), si chiuse la questione senza che si giungesse alla celebrazione del processo per l’accertamento dei fatti. E così tutti si son chiesti se Pacini Battaglia è stato “sbancato” o “sbiancato”.

Allo scopo d’aiutare il prossimo a capire cosa s’era detto, il quotidiano Il Foglio distribuì in allegato al giornale un Cd con la registrazione della conversazione. E fra chi l’ha ascoltata, a parecchi è parso proprio di sentir parlare di sbancare e non di sbiancare. Ma Il Foglio è di tiratura non eccezionale e milioni d’italiani son rimasti col dubbio.

Comunque, si sa, il tempo cancella tutto e noi, del dilemma, ci siamo dimenticati. Tuttavia, la storia si ripete. Questa volta un processo c’è e quando si concluderà sapremo se gli italiani sono stati “sbancati”. La questione verte sui rimborsi elettorali che, è noto, sono fondi pubblici destinati ai partiti. Secondo il Giornale, Antonio Di Pietro, oltre al partito "Movimento Italia dei valori", ha costituito l'"Associazione Italia dei valori", composta da lui stesso, dalla moglie Susanna Mazzoleni e dall'onorevole Silvana Mura. Sempre stando a quando spiega il Giornale (qui e qui) a richiedere, incassare e gestire i rimborsi del “Movimento politico” (e sostituendosi a esso) sarebbe in via di fatto l'"Associazione" di famiglia, attraverso la deputata-rappresentante legale Silvana Mura. Il “tesoriere” dell'associazione di famiglia, sempre per statuto, richiede i rimborsi elettorali e “li introita (…) per conto dell'Associazione” e cura la tenuta dei registri contabili “dell'Associazione e del Partito”. Un rompicapo, che all'apparenza somiglia proprio al gioco delle tre carte.

Come andrà a finire lo sapremo poi, ma sin da ora viene naturale affermare: gli italiani, fra “sbiancati” e "sbancati", ammattiscono dietro a queste storie così difficili da decifrare.

[foto via facebook]

Luca Procaccini

domenica 4 gennaio 2009

Quelle dimissioni democristiane di Di Pietro junior



Il figlio del leader dell’Idv Antonio Di Pietro, Cristiano, chiamato in causa nell’ambito dell’inchiesta Global Service, lascerà l’Italia dei Valori. Lo ha comunicato in una lettera che il padre ha pubblicato sul suo blog.

"Cristiano Di Pietro, mio figlio - scrive l’ex Pm a commento della lettera - uscirà dall’Italia dei Valori. Lo trovo un gesto corretto e per certi versi forse eccessivo visto che non è nemmeno indagato, ma lo rispetto e ne prendo atto".

Ma c’è un ma. Di Pietro junior resta consigliere comunale a Montenero di Bisaccia e consigliere della Provincia di Campobasso. Così, da una parte si dimette dal partito e dall’altra parte, nel solco della tradizione politica italiana di matrice democristiana e socialista, resta in carica nelle pubbliche istituzioni: e come mai se non perché l’incarico elettivo è retribuito?

Magnifico. Ora restiamo in trepidante attesa.

Impossibile non ricordare, però, quanto accadde a Clemente Mastella, che per le traversie giudiziarie della moglie Sandra si dimise da ministro della Giustizia. Infatti Mastella, di fronte alle intercettazioni del figlio di Antonio Di Pietro, Cristiano, ha parlato di doppiopesismo giudiziario: "Se avessi fatto io quel che ha fatto il figlio di Di Pietro? Non oso pensare cosa sarebbe successo", ha detto l’ex guardasigilli. "Invece per molto meno mia moglie Sandra è stata arrestata e io ho dovuto lasciare il ministero della Giustizia, il partito, la carriera politica. Mica voglio l’arresto per Cristiano Di Pietro, per carità, sono perdonista con tutti, ma siamo davanti a un vero e proprio doppiopesismo giudiziario. Mia moglie e tanti miei amici sono stati arrestati forse perché non erano figli di papà".

Ebbene, quale commento farà un democristiano d.o.c., quale è Mastella, di fronte alle dimissioni in salsa democristiana del piccolo Di Pietro?

Luca Procaccini