In Afghanistan ci sono forze armate di diverse nazionalità a presidiare il territorio, ma tutte lavorano alla stessa maniera. Quindi, francesi, italiani, inglesi e tutti gli altri seguono le medesime procedure militari. Cioè, niente tarantelle organizzate dagli italiani e, magari, rastrellamenti e perquisizioni disposte dai francesi. Pari come figli sono, almeno agli occhi degli afghani.
Non è la condotta italiana in terra afghana a motivare l’eventuale diverso trattamento riservatoci dagli indigeni. Ma questo è un indizio, non una prova. Però l’Italia è nazione che ha avuto tangentopoli, processo giudiziario-mediatico che ha rappresentato in tutto il globo una classe dirigente adusa alla corruzione. Ma questo è un indizio, non una prova.
Intanto, in Italia, è in corso indagine volta a dimostrare che c’è stato accordo di collaborazione tra mafia e Stato. Tra l’altro, mentre erano ancora caldi i cadaveri di Falcone, Borsellino e i membri delle loro scorte. Ma questo è un indizio, non una prova.
Se poi consideriamo che dai tempi della lotta al terrorismo, e ora per combattere la mafia, in Italia si offre autorevolezza e attendibilità al pentito che parla, e basta un briciolo di riscontro per sputare sentenza di condanna, non c’è dubbio che la dichiarazione del talebano ha valore. Ma questo è un indizio, non una prova.
Se un indizio è solo un indizio, e due indizi sono solo un sospetto, mentre tre indizi sono appena una prova, quattro indizi sono una sentenza di colpevolezza.
Cotti e cucinati in casa nostra, mica colpa del Times.
Luca Procaccini
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