Via Wikipedia. Il termine assassino origina dai Nizariti, conosciuti anche come Setta degli Assassini, oppure semplicemente Assassini, esistiti in medio oriente tra l’VIII e il XIV secolo che, ai tempi di Ḥasan, terrorizzava i nemici attraverso gli omicidi individuali perpetrati da membri della setta che venivano inviati con la missione di uccidere una persona importante. Le esecuzioni, per impressionare di più, erano condotte in pubblico, nelle moschee, preferibilmente il venerdì, giorno sacro dell’Islam. Di solito gli Assassini erano uccisi sul fatto e la serenità con cui si lasciavano massacrare era impressionante a tal punto da far subito pensare ai contemporanei che fossero drogati con haschish, dalla cui parola araba deriverà il termine assassini nel suo significato di mangiatori di haschish.
Il meccanismo di persuasione però era altro: l’Hasan drogava sì i suoi accoliti, ma poi li faceva vivere momenti magnifici tra cibi, vini, prelibatezze varie e gnocca in quantità tale che D’Addario e le schampiste di Villa Certosa farebbero misera figura. Poi, al “risveglio” la notizia: erano stati in paradiso e, se si fossero adeguati al volere del capo senza batter ciglio anche a costo della vita, in quel paradiso sarebbero tornati.
Ecco fatto. Passano i secoli ma la musica non cambia. In quelle terre a noi lontane il martire si sacrifica accecato dalla fede, ma calzando diverse paia di mutande. Rito pagano per garantirsi l’efficienza e la funzionalità dell’attrezzo quando in paradiso sarà accolto dalle vergini vestali. E il risultato è che il paradiso magari loro non l’avranno, e tanto meno l’agognato pelo, ma a noi è garantito l’inferno. Quindi, non è semplice questione di fede. La faccenda si complica, come al solito, con di mezzo il pelo. La guerra è persa.
Luca Procaccini
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