Di Pietro ha costruito la sua fortuna sul trascorso di magistrato cha ha dato l’avvio alla stagione di Mani pulite. L’avvio, appunto. Tutti ce lo ricordiamo quando, all’iniziare del primo processo di Mani pulite (quello contro Cusani) si tolse platealmente la toga e, con tanto di ascella pezzata in mondovisione, si dimise dalla magistratura e si dedicò ad altro. La politica, appunto.
Insomma, la fece da padrone nella fase procedimentale dove tintinnavano le manette e gli indagati, magari messi agli arresti, erano in una condizione di soggezione psicologica e, se trattenuti nelle patrie galere, fisica tale da non consentire efficace azione di contrasto all’azione del Pubblico ministero.
Poi, quando s’è trattato di sviluppare i processi di Mani pulite in contraddittorio innanzi al Tribunale, soggetto terzo tra accusa e difesa, il teatrale addio alla toga. Insomma, finita l’era in cui si facevan vedere le manette, e quindi occorreva mostrare le palle, addio.
Ma allora di inchieste buone ne furon fatte e seppur Di Pietro si dileguò, altri per lui portarono avanti il lavoro.
Oggi, invece, la storia si ripete in parte. Il gagliardo De Magistrs mette in pista un’indagine che fa acqua da tutte le parti e, come il Di Pietro di una dozzina di anni addietro, molla la toga ed entra in politica. Con Di Pietro, appunto.
Insomma, all’osservatore non sfugge il vizietto italico di tentare la fortuna politica sull’azione, non sempre magistrale, del magistrato.
Il percorso è tracciato. Da spregiudicato inquirente a smanioso politicante dell’Italia dei Valori. O dei calori?
Luca Procaccini
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