Travaglio, nella sua qualità di ospite fisso di Santoro, ci propina settimanalmente il suo sermone.
Capita alle volte che la sostanza debba essere accompagnata dalla forma perché possa apparire più credibile. Almeno così deve aver pensato il Travaglio giornalista che, puntualmente, si presenta al pulpito con un quaderno, dalla copertina in pelle, rigonfio al punto da apparire liso dalla penna. Un po’ come se, atteggiandosi a Montanelli, si presentasse col suo fido taccuino dal quale non si separa mai perché su quello riversa le sue estemporanee riflessioni, e solo grazie a quello, e all’ausilio della penna, elabora le sue intuizioni.
Invece inclemente fu la telecamera che, nell’inquadrarlo dal di dietro, svelò il mistero. Il quaderno fascinoso è rigonfio non perché tante volte Travaglio vi aveva affondato la punta della penna, ma perché il nostro ci incolla sulle pagine dei volgari fogli da stampante sui quali, in caratteri grossi e ben distanziati, ha annotato quel che ha da dire. Insomma, non del taccuino di Hemingway, ma del gobbo di Pippo Baudo. Tutto ridimensionato.
Che Travaglio non sappia scrivere, viene il dubbio nel leggerlo sul suo blog. Che Travaglio non sia giornalista d’inchiesta, lo si capisce ascoltandolo perché nulla di nuovo apporta, ma si limita a smontare e rimontare pezzi d’inchieste giudiziarie. Ma se del Travaglio compilativo, che ci eravamo abituati a sopportare, altro non rimane che un Travaglio fotocopiativo che incolla paginette sul quaderno, allora bisogna diffidare.
È tutto tarocco, nulla di genuino.
Luca Procaccini
Avvocato Assessore sei un mito!
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