mercoledì 4 marzo 2009

Travaglio: una contraddizione vivente

Travaglio per alcuni ha tanti pregi quanti capelli, per altri ha il solo difetto di esistere. In ogni caso, nel leggere l’articolo di suo pugno dal titolo “La macchina del complotto perpetuo” pubblicato sul suo blog, tutti concordano sul fatto che non abbia il dono della sintesi, e molti dubitano che abbia il dono della penna. Una spataffiata di due pagine che inizia con il trattare l’intramontabile questione della giustizia, sotto la chiave di lettura del Complotto continuo, per poi passare agli affari di casa Mastella e Rizzoli, condendo il pasticcio con un pizzico di P2, e quindi chiudere senza un apparente filo conduttore tra i diversi argomenti. Il sospetto è che il Travaglio giornalista provenga dalla stessa scuola del Di Pietro Magistrato.

Comunque, l’argomento forte sarebbe il teorema secondo il quale, in Italia, se a essere processato è un potente, quando interviene condanna è stato complotto. Quando interviene assoluzione, è stato complotto smascherato da qualche solerte Giudice. Invece, se a essere processato è un impotente, la costante è che sono solo guai e nessuno se ne occupa.

Chi scrive quel post è lo stesso che aveva propugnato la riforma del processo penale perché auspicava che si "abolisse il grado di appello [...] salvo l'emergere di nuove prove, e si introducesse un filtro severo ai ricorsi in Cassazione…”, e poi, condannato per diffamazione a Cesare Previti a otto mesi di reclusione, interponeva Appello avverso la sentenza nella speranza di ottenere assoluzione, ma con la buona probabilità di vedersi riconoscere la prescrizione.

Letto il suo post, e ricordato l’accidente di giustizia capitato a colui che l’ha vergato, la domanda: il Travaglio che prima d’esser condannato è sempre stato contrariato dal sistema che consente di appellare la sentenza resa dal Giudicante, ora Appella perché si sente un potente o un impotente?

Luca Procaccini

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