
In quel di Pescara veniva carcerato, agli arresti domiciliari, il sindaco D’Alfonso perché secondo gl’inquirenti maneggiava la cosa pubblica non nell’interesse comune ma col fine di farne profitto privato. Tanto da veder contestare al primo cittadino l’
associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla concussione, truffa, falso e peculato. Poi, con le dimissioni del sindaco, il Giudice per le indagini preliminari si determinava nel senso di concedergli la libertà perché, con lo scioglimento del Consiglio comunale, sarebbe arrivato il Commissario prefettizio. Quindi, allontanato il "discolo" e i suoi "accoliti", secondo il Giudice s’era al riparo dal pericolo che l’"allegra brigata" potesse ripetersi nella condotta delittuosa, e dal rischio che l’indagato potesse inquinare le prove. Ma l’impianto accusatorio che aveva condotto all’arresto del sindaco veniva dal Giudice integralmente confermato.
Nonostante ciò, il Pd, per bocca di Veltroni, s’era scandalizzato del fatto che ad arresto era seguito dopo pochi giorni la liberazione. E anche se le motivazioni della scarcerazione non alleggerivano d’un grammo la pesante posizione dell’indagato, il segretario s’agitava come se a una vergine era stato contestato d’essersi data per denaro. Non c’è limite alla decenza, pensavamo noi, e se questo è il
rinnovamento della politica praticato dal Partito democratico, si stava meglio quando si stava peggio. Almeno, ai tempi del Partito comunista, non s’udiva un segretario dire di tali patacche.
Poi, finalmente, la svolta. Basta con il vecchio modo di fare politica nel Pd. Non sentiremo più dichiarazioni come quelle di Bassolino il quale, travolto dallo scandalo dei rifiuti, ebbe a dire che non mollava lo scranno perché nel momento di difficoltà bisogna assumersi le responsabilità e rimanere al proprio posto. O come quelle della
Iervolino, secondo la quale nessuno sarebbe morto per un po’ di “monnezza” (quando Napoli ne era sommersa), salvo poi partecipare alle esequie del suo assessore, suicidatosi ai tempi in cui era agli arresti, perché coinvolto nei disordini scoppiati per le proteste contro l’apertura della discarica nel quartiere di Pianura. Non vedremo più commedie come quelle inscenate dal sindaco di Napoli che, per giustificare l’attaccamento alla poltrona, invece delle dimissioni quale epilogo dello scandalo giudiziario per la vicenda dell’appalto ultramilionario che riguardava la manutenzione delle strade (ha portato agli arresti quattro dei suoi assessori della presente giunta come di quella del precedente mandato elettorale), ci viene a dire che Napoli è un valido laboratorio sperimentale per il centrosinistra. Non assisteremo più a sindaci che si incatenano ai pali per un’intera mezz’ora, come fece Domenici (Firenze) per protestare contro la stampa di
Repubblica e
l’espresso che non gli era più amica, salvo poi congedarsi perché ormai s’era fatta ora di pranzo e la pietanza si freddava.
Basta con il vecchio, fate spazio al nuovo che avanza e porta il nome di D’Alfonso da Pescara.
Ora il nuovo si materializza anche attraverso un certificato medico. Ognuno di noi sa che
un certificato medico non si nega a nessuno, tanto che Brunetta ha previsto la visita fiscale immediata al dipendente pubblico che si assenta dal lavoro e come “pezza d’appoggio” ci mette l’immancabile certificato a comprovare lo stato di malessere organico. Ebbene, D’Alfonso ci informa d’essere malato (e noi gli crediamo, così come crediamo all'onestà del suo medico), e lo dimostra esibendo il certificato medico stilatogli dal curante che è anche consigliere comunale di maggioranza. Poi, ritira le dimissioni e, fintantoché non guarirà della sua infermità, conserverà l’indennità di carica (
il Giornale parla fra l'altro di
4.000 euro netti al mese) e il suo vice lo sostituirà. Ecco fatto, la carica è salva e il Consiglio comunale non si scioglierà.
[foto via
flickr.com/photos/athomeinscottsdale]
Luca Procaccini